L’arte moderna: arte come comunicazione
di Valentina Spreafico
All’inizio dell’Ottocento il modo di guardare era ancora quello del mondo classico, infatti l’arte era considerata esclusivamente come rappresentazione e l’unica domanda che ci si poneva di fronte ad un’opera d’arte era «Che cosa si vede?».
Con l’avvento del Romanticismo si sviluppa un’attenzione del tutto nuova, non solo per ciò che il quadro rappresenta, ma anche per il modo in cui il pittore interpreta, o meglio comunica. Questa volta lo scopo non è più solo quello di rappresentare “un qualcosa”, ma bensì di comunicare, e ciò che conta non è più l’opera nella sua totalità, ma l’insieme delle componenti stilistiche utilizzate dall’artista tramite le quali viene composta. Ed è in questa nuova visione dell’opera che risiedono gli inizi dell’Arte Moderna.
Per gli artisti immediatamente successivi all’ondata romantica, dipingere significherà badare soprattutto alla tecnica con la quale si dà origine all’opera, per cui alla fine solo la forma e i colori contano. Una delle correnti con maggiore efficacia stilistica è l’Impressionismo, estrema conseguenza del Romanticismo. La modernità degli impressionisti è nel modo diverso di affrontare il problema del rapporto con la realtà. Il nostro occhio vede oggettivamente, ma la ragione coglie solo l’impressione generale, operando una sintesi e comprendendo la realtà nella sua sostanza: essa diventa quindi soggettiva, in quanto la nostra mente funge da filtro. Così lo stesso tema potrà essere dipinto nella stessa ora da un unico punto di vista, da più pittori e il risultato non sarà mai uguale, perché ciascuno ha un proprio mondo interiore e perciò vede e giudica in maniera diversa la realtà. Lontani dunque dalla sterile oggettività realistica, l’Impressionismo si può considerare l’arte comunicativa per eccellenza.
Personaggio centrale era Édouard Manet, a cui si affiancavano Camille Pissarro, Claude Monet, Edgard Degas e Auguste Renoir. Ed è proprio Manet in particolare che viene considerato un punto di riferimento maturo per quanto riguarda il rapporto tra arte e pubblicità. Misurandosi con i segni del cambiamento dell’età moderna realizza nel 1868 un manifesto per pubblicizzare il libro Les Chats dell’amico Champfleury. Si trattava di un’illustrazione di gusto giapponese di moda all’epoca, che rappresentava due gatti, uno bianco e uno nero. L’evidente gioco cromatico balzava subito all’occhio dell’osservatore catturandone l’attenzione. Già in questo lavoro è presente uno dei concetti di base della pubblicità, cioè la cattura dell’attenzione tramite espedienti grafici e cromatici messi in rilievo dalla conformità dei caratteri tipografici che incorniciano l’illustrazione.
Il XIX secolo fu anche il secolo della rivoluzione industriale, dell’affermarsi della borghesia e del trionfo del caffè, veri e propri centri di aggregazione culturale, più semplicemente luoghi di svago. Insieme ai caffè, l’Ottocento segnò la nascita del manifesto nella sua veste canonica di messaggio illustrato che sappia far presa sul pubblico. Collegato alla nascita del manifesto è lo sviluppo della litografia, tecnica scoperta per caso nel 1796 dall’attore-poeta Aloys Senefelder. Nel 1845 con l’avvento della cromolitografia diventò possibile la produzione di opere a colori. Il manifesto acquista sempre più importanza e si diffonde a macchia d’olio su tutti i muri della città. Diventato un elemento indispensabile per la propaganda dei locali notturni parigini, come il Moulin Rouge, il manifesto si trasforma, evolve e si perfeziona; l’immagine prevale sulla scritta di volta in volta ridotta e lasciata in secondo piano.
La litografia e il gusto per l’arte giapponese, fenomeni contemporanei, accomunano l’arte moderna con il campo della pubblicità, un connubio produttivo raccolto dall’artista post-impressionista Toulouse-Lautrec, il più famoso tra gli autori di manifesti illustrati. Le mille luci di Montmartre, con i suoi cabaret, i paradisi a pagamento delle maisonnes closes, e i suoi caratteristici personaggi sono il contesto dove Lautrec decise di «piantare il suo cavalletto». I modelli ispiratori delle sue tele, sono i diseredati, i viveur, le prostitute e i patetici borghesi, gli attori e le cantanti di cabaret, con i quali ha deciso di confondersi per nascondere meglio la propria goffa presenza umana condividendo con loro un ingeneroso destino.
Nella carriera di Toulouse-Lautrec il 1891 fu una data di svolta, infatti, fu proprio in quell’anno che eseguì il primo manifesto Moulin Rouge: La Golue. Il soggetto centrale della scena, la Golue (l’ingorda), è introdotta dalla sagoma in ombra di Valentin-le-désossé; il senso della profondità è dato dalle linee verticali del parquet e dalle diverse dimensioni dei personaggi (sempre più piccoli man mano si arretra); non vi è prospettiva, l’immagine appare piatta e le varie figure rappresentate sono contornate da una pesante linea nera che ne mette in risalto i violenti colori (in questo caso il giallo, il rosso e il nero). Qui, i caratteri tipografici, occupano gran parte dell’immagine che funge da sfondo. Come una rèclame che si rispetti, nel manifesto della Golue, troviamo il tema della ripetizione: la scritta “Moulin Rouge”, in alto a sinistra, è ripetuta per ben tre volte. Questa tecnica pubblicitaria ha lo scopo di imprimere nell’osservatore il messaggio giustificato attraverso la memorizzazione.
Oltre alla pubblicità per il Moulin Rouge, Lautrec ha realizzato manifesti per altri locali come Le Divan Japonais un caffè-concerto inaugurato nel 1893 in Rue des Martyrs. Le soluzioni compositive e cromatiche si rifanno ancora una volta all’arte giapponese. In primo piano spicca la cantante Jane Avril e il critico musicale Edouard Dujardin; sullo sfondo, Yvette Guilbert con i caratteristici guanti neri, unico elemento di riconoscimento in quanto la testa appare tagliata dalla “inquadratura”. Infatti per la maggiore parte delle litografie, Lautrec utilizzava una foto scattata in precedenza ed è per questo motivo che le figure spesso e volentieri sono “mozzate”.
Nel 1894 Lautrec stringe amicizia con Thadée Natanson, proprietario della Revue Blanche con il quale nasce una stretta collaborazione. Una delle più note copertine della rivista fu realizzata da Lautrec nel 1895. Quest’ennesimo lavoro consacra la figura di Toulouse-Lautrec come artista multiforme capace di far confluire le proprie conoscenze artistiche nella professione di pubblicitario, e la tecnica della litografia a vantaggio della sua pittura ampliandone i metodi espressivi dando vita a uno dei più fruttuosi rapporti tra arte e pubblicità.
Art Nouveau – Alfons Mucha
di Silvia Azzaroli
E sempre a proposito di arte e pubblicità un eccellente esempio fu Alfons Mucha, artista poliedrico, che nacque ad Ivančice(Repubblica Ceca) nel 1860 e fu uno dei massimi esponenti dell’Art Nouveau, avendo scelto Parigi per esprimere al meglio il suo estro.
Proprio sul grande artista ceco, a Palazzo Reale è stata inaugurata una mostra, intitolata “Alfons Mucha e le atmosfere dell’Art Nouveau”, che chiuderà i battenti il prossimo 20 Marzo, il cui il suo percorso è descritto e rappresentato con grande maestria, anche perché vi sono presenti altri grandi artisti di quell’epoca così importante per l’arte.
Vi dicevo che Mucha fu uno dei massimi esponenti del connubio arte e pubblicità e non si possono non citare quindi, le sue collaborazioni con la grande attrice francese Sarah Bernhardt, che colpita dalla finezze del disegno di Mucha, firmò con lui un contratto di ben sei anni, che furono proficui per entrambi, dato che creò meravigliosi cartelloni pubblicitari degli spettacoli dove la diva era protagonista, esaltandone al massimo la figura e aiutandola a far durare molto a lungo la carriera.
Mucha aveva una reale passione e ammirazione per la figura della donna in generale, tanto da farne la sua musa ispiratrice in quasi tutte le sue opere, con ritratti sempre molto rispettosi e appassionati del corpo e del volto femminile, senza mai essere volgare, anche nei pochi nudi presenti nei suoi ritratti.
L’artista ceco, oltre ai manifesti teatrali, fu celebre per pannelli decorativi, cartelloni pubblicitari, copertine per riviste, calendari, illustrazioni librarie e molto altro, utilizzando spesso e volentieri anche lui l’arte della litografia.
E a proposito di calendari molto affascinanti quelli che rappresentavano le varie stagioni, Primavera, Estate, Autunno, Inverno, sempre rappresentate in figure femminili, di chiara ispirazione greco-romana.
Bellissimi anche quelli dei fiori, dove ovviamente regna sovrana la Rosa, simbolo di passione e pericolo con la sua bellezza e le sue spine e quelli dei frutti, dove la donna pareva sbocciare, recando con se le prelibatezze che la natura le offriva.
Tuttavia non posso negare che il mio calendario preferito è stato quello delle pietre, in particolare quello che rappresenta lo smeraldo, incarnata da una splendida donna, dallo sguardo incredibilmente e meravigliosamente ambiguo, accanto alla quale c’è uno spaventoso serpente con le fauci aperte.
Avvicinandosi a tale ritratto ho notato come Mucha sia riuscito a rendere bene questo sguardo, con un trucco ingegnoso: un occhio è completamente “malvagio”, l’altro esprime dolcezza assoluta.
Sarà un caso ma questo ritratto è l’unico presente sulla brochure della mostra ed è quello che si vede all’ingresso della stessa.
L’estro e il genio di Mucha sono stati davvero il simbolo di un’epoca d’oro, tramontata troppo presto, come quella dell’Art Nouveau e della Belle Époque, la cui bellezza e magnificenza furono spazzati via dall’orrore della grande guerra, quando invece sembrava possibile ogni accordo tra le grandi potenze.
Di Mucha dobbiamo ricordare anche le collaborazioni con importanti ditte di biscotti, cioccolato e pure con quelle di sigarette, contribuendo a renderle simbolo di erotismo e sensualità.
Ringrazio Palazzo Reale per avermi fatto vivere un periodo storico da me così amato, anche perché fu in quegli anni che nacquero i primi importanti movimenti a favore del voto alle donne, le famose Suffragette.